Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge si pone come obiettivo quello di modificare l'articolo 27 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, concernente la natura e il ruolo delle comunità montane.
      In questo articolo le comunità montane sono definite come «unioni di comuni, enti locali costituiti fra comuni montani e parzialmente montani». A tutti i comuni è riconosciuta la possibilità di dare vita, per l'esercizio di funzioni di loro competenza, a unioni di comuni, ma solo i comuni montani o parzialmente montani possono dare vita alle comunità montane.
      La realtà del nostro Paese ci presenta, però, una situazione del tutto diversa. In questi anni si è realizzata una grande proliferazione del numero e dell'estensione delle comunità montane. Attualmente esse sono 356 e coprono il 54 per cento del territorio nazionale. Il numero dei comuni che fanno parte di comunità montane è pari a 4.201, vale a dire il 52 per cento del totale dei comuni italiani, con oltre 10 milioni di abitanti.
      Come è potuto accadere tutto questo? La motivazione va ricercata nella formulazione ambigua del citato articolo 27 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000. Mentre al comma 1 si afferma che le comunità montane sono costituite fra «comuni montani e parzialmente montani», al comma 5 è riconosciuta alle regioni la possibilità di emanare leggi regionali che prevedano «per un più efficace esercizio delle funzioni e dei servizi svolti in forma associata, l'inclusione dei comuni confinanti». Per questa via sono stati compresi comuni che non avevano e non hanno caratteristiche di comuni montani e spesso è accaduto che le comunità montane si siano trasformate in enti

 

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senza alcun concreto riferimento all'opera di salvaguardia e di tutela dei territori montani, ovvero comunità montane di fatto impegnate a svolgere funzioni per territori vallivi o di pianura.
      Ne deriva la necessità di ripristinare, come criteri costitutivi, i requisiti previsti, tra l'altro dalla legge n. 991 del 1952, e successive modificazioni, al fine di individuare i comuni montani e parzialmente montani che possono entrare a fare parte delle comunità.
      In questi anni, però, la proliferazione non ha riguardato soltanto l'aspetto territoriale. Vi è stata una crescita degli apparati burocratici e degli organi e, conseguentemente, del personale politico impegnato nel governo di questi enti, con l'effetto di un aumento formidabile dei costi della politica.
      Quasi metà dei fondi assegnati risultano destinati per le spese correnti: il solo stipendio dei 356 presidenti costa allo Stato 13,6 milioni di euro, mentre non sono precisamente quantificabili le competenze erogate ai componenti delle giunte esecutive e le spese per i componenti dei consigli generali.
      Una mole di soldi pubblici che, indirizzati dallo Stato, ma anche dalle regioni, per risollevare le condizioni socio-economiche delle zone svantaggiate, quali sono quelle montane, si trasforma in rivoli di spesa pubblica improduttiva. Tale situazione è resa ancora più grave dall'assenza di occasioni di controllo diretto da parte dei cittadini. Le comunità montane sono rette, infatti, da amministratori eletti dai consigli comunali, rappresentanti di secondo grado, senza l'investitura di un voto popolare.
      L'associazionismo tra gli enti di minori dimensioni deve tendere invece alla riduzione dei centri gestionali rendendo gli stessi più funzionali attraverso la confluenza delle risorse umane, finanziarie e strumentali.
      Una nuova e più snella organizzazione associativa dei comuni montani in unione di comuni montani diventa una necessità che si pone in linea con l'evoluzione legislativa sull'associazionismo degli enti locali, sia per ridurre i costi e consentire il controllo da parte dei cittadini, sia per la riduzione dei livelli di governo.
      A tale fine appare opportuno, in particolare, riformulare il comma 2 del citato articolo 27, prevedendo una separazione delle funzioni di controllo e di indirizzo, affidate a un organo rappresentativo composto da rappresentanti eletti dai consigli comunali con garanzie per le minoranze, dalle funzioni esecutive e di governo, affidate a una giunta composta esclusivamente da sindaci, in quanto amministratori investiti comunque di un mandato diretto dei cittadini. Possono essere conseguite, così, una più alta qualificazione dell'attività di governo, una più elevata responsabilizzazione di fronte ai cittadini e, nello stesso tempo, una notevole riduzione dei costi della politica per effetto della semplificazione che ne deriverebbe.
      La giunta elegge tra i propri componenti il presidente. Si pone così fine a un'incongruenza che è stata in questi anni ulteriore causa di mancanza di chiarezza e di ambiguità. Le comunità montane, infatti, coma già ricordato, sono definite dall'articolo 27 come unioni di comuni. Con l'articolo 32 del medesimo testo unico si stabilisce (comma 3) che i presidenti delle unioni di comuni devono essere scelti tra i sindaci dei comuni facenti parte della stessa unione. Di fatto questo non è accaduto perché gli statuti non hanno recepito questo principio.
      In conclusione, la presente proposta di legge, con la riformulazione dell'articolo 27 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, si prefigge, da una parte, di semplificare l'organizzazione delle comunità montane, prevedendo organi più snelli e responsabili, e, dall'altra, uno stretto ancoraggio dei compiti e delle funzioni da esse esercitati alla salvaguardia e alla tutela dei territori effettivamente montani.
 

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